Capsulite adesiva della spalla: Cause, sintomi e cura

Cos’è la Capsulite Adesiva?

La capsulite adesiva è una condizione patologica caratterizzata da dolore e riduzione dell’articolarità della spalla a livello dell’articolazione gleno-omerale. Esiste una forma di capsulite adesiva idiopatica primaria, detta “spalla congelata”, che colpisce il 2-5% della popolazione generale con un picco fino al 30% nei pazienti diabetici [1]. Le donne sembrano essere più colpite rispetto agli uomini, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 40 e i 60 anni.
Il paziente con spalla congelata può sviluppare la stessa condizione anche nella spalla contro-laterale, con un rischio che può arrivare fino al 20%.

Quali sono le cause della Capsulite Adesiva?

Riconosciamo alcuni fattori predisponenti come:
  • Sesso femminile
  • Età > 40 anni
  • Diabete mellito
  • Patologie della tiroide
  • Stress cronico
  • Traumi
  • Immobilizzazione prolungata
  • Stile di vita sedentario
  • Ictus
  • Storia familiare o precedente storia di spalla congelata
  • Storia di mastectomia secondaria a tumore al seno
  • Patologie autoimmuni (HLA-B27 +)
Le cause della capsulite adesiva sono numerose e per maggiore chiarezza sono state inserite nella seguente tabella.

Si ritiene che due meccanismi fondamentali promuovano lo sviluppo della spalla congelata:

  1. l’immobilizzazione per lungo tempo
  2. l’infiammazione cronica

Kraal e colleghi, in un articolo del 2020, hanno riportato modificazioni di tipo infiammatorio intorno alla capsula, accompagnati da iperplasia sinoviale, ipervascolarizzazione e neurogenesi così come si può notare in un immagine artroscopica [2].

Quali sono i sintomi della Capsulite Adesiva?

I sintomi principali della capsulite adesiva primaria sono:
  • Dolore con esordio graduale senza che siano avvenuti traumi;
  • Rigidità di spalla;
  • Articolarità ridotta in abduzione e rotazione (soprattutto in rotazione esterna).
Per quanto riguarda la spalla congelata abbiamo un decorso caratteristico che possiamo dividere per semplicità in tre fasi:
  1. Fase di congelamento caratterizzata da dolore con minima rigidità;
  2. Fase congelata caratterizzata da forte rigidità con minimo dolore;
  3. Fase di risoluzione in cui si riduce gradualmente il dolore fino a scomparire e l’articolarità viene recuperata.
In realtà questi modelli teorici sono validi solo in parte e negli anni si è visto come un’alta percentuale di casi non vada incontro a risoluzione spontanea neanche dopo tanti anni e proprio per questo ad oggi tutte le capsuliti adesive siano esse primarie (spalla congelata) o secondarie devono essere trattate.

Come si effettua la diagnosi di Capsulite Adesiva?

La diagnosi di capsulite adesiva è principalmente basata sull’anamnesi e sull’esame obiettivo del paziente; l’anamnesi andrà ad indagare l’esordio della patologia e le caratteristiche del dolore (normalmente si presenta a riposo di notte nella regione antero esterna della spalla o durante i movimenti agli ultimi gradi disponibili). All’esame obiettivo la presenza di deficit del range di movimento su tutti i piani ed in particolare in rotazione esterna, insieme alla negatività dei test provocativi per i tendini della cuffia dei rotatori, indirizzerà il medico facilmente verso una diagnosi di capsulite. Diagnosi differenziale andrà fatta con l’artrosi gleno-omerale che presenta un quadro clinico molto simile e proprio per questo può essere utile la radiografia tradizionale. Anche la risonanza magnetica può essere utile per confermare la presenza di reperti correlati con la spalla congelata, come l’ispessimento della capsula articolare, l’ispessimento del legamento coraco-omerale e la fibrosi del recesso ascellare. Personalmente all’anamnesi e all’esame obiettivo associo sempre una ecografia durante la prima visita, per andare ad indagare la struttura tendinea della cuffia dei rotatori, e la presenza di eventuali borsiti sub-acromiali.

Quali sono le cure più efficaci per la Capsulite Adesiva?

Il trattamento di prima linea della capsulite è sempre di natura conservativa; la maggior parte dei pazienti trae beneficio da una combinazione di: modifica delle attività quotidiane che provocano dolore e fisioterapia.

La fisioterapia dovrà tenere presente l’irritabilità del paziente e quindi il grado di dolore ed infiammazione promuovendo attività passive ed attive per il recupero del ROM articolare e mobilizzazioni articolari gleno-omerali per il recupero dei micro-movimenti accessori. Potranno essere utilizzate anche le termoterapie come la Tecar e l’ipertermia per “ammorbidire” i tessuti e favorire l’afflusso di sangue ed i processi anti-infiammatori. In fase acuta potranno essere assunti dei farmaci anti-infiammatori steroidei o FANS per bocca.

Molto utile e ampiamente consigliato dalle linee guida è l’utilizzo delle infiltrazioni intra-articolari con corticosteroide. Si è visto infatti che tale procedura è in grado di ottenere effetti anti-infiammatori e di ridurre il dolore nella prima fase della patologia. Personalmente utilizzo infiltrazioni ecoguidate intra-articolari con farmaci corticosteroidi e anestetico locale per essere sicuro di iniettare il farmaco all’interno della articolazione (senza ecoguida il 30% delle infiltrazioni può non raggiungere il target).

A questo in molti casi associo il blocco ecoguidato del nervo sovrascapolare sempre nella stessa seduta che può incrementare i risultati nei casi di dolore notturno o a riposo [3]. Tale procedura oltre a ridurre il dolore determina anche un incremento del ROM di spalla nelle settimane successive sempre associato al trattamento fisioterapico.

Molto efficace è anche l’utilizzo delle infiltrazioni intrarticolari di ozono (ozonoterapia) a scopo antinfiammatorio e meccanico (distensione della capsula); può risultare una valida alternativa al corticosteroide soprattutto nei pazienti con diabete mellito per evitare picchi iperglicemici.
Esistono altre metodiche di trattamento interventistiche come l’idrodistensione ecoguidata intra-articolare che ha lo scopo di rompere le aderenze con la pressione del liquido iniettato e gonfiando l’articolazione; personalmente tale metodica l’ho trovata piuttosto invasiva per il paziente e spesso di non facile esecuzione. Anche lo sblocco articolare in anestesia di plesso è tra le opzioni non chirurgiche ma il suo utilizzo è tuttora controverso e non esule da reazioni avverse anche gravi come fratture e lussazioni [4].
Più recentemente, il release capsulare artroscopico ha superato la manipolazione in anestesia come trattamento chirurgico di prima scelta, in quanto più preciso e meno rischioso dal punto di vista delle complicanze; il chirurgo esegue una capsulotomia, in aggiunta al rilascio di altre strutture tra cui il legamento coraco-omerale e l’intervallo dei rotatori. Anche in questo caso i risultati sono generalmente favorevoli e duraturi. In seguito all’operazione è fondamentale seguire un programma di esercizi personalizzato al fine di preservare il guadagno ottenuto sul range di movimento.

In conclusione:

  • La capsulite adesiva è una condizione patologica caratterizzata da dolore e restrizione del ROM nell’articolazione gleno-omerale;
  • Le donne sembrano essere più colpite rispetto agli uomini, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 40 e i 60 anni;
  • La diagnosi è clinica e l’imaging può essere associato nei casi dubbi;
  • La fisioterapia rappresenta il trattamento fondamentale;
  • Le infiltrazioni ecoguidate intra-articolari e il blocco del nervo sovrascapolare rappresentano delle procedure estremamente utili soprattutto nelle prime fasi della patologia;
  • La prognosi con il trattamento conservativo è caratterizzata da buoni risultati ottenuti in un periodo variabile tra 3-6 mesi;
  • Se il trattamento conservativo dopo 6 mesi non avesse ottenuto i risultati desiderati si può ricorrere alla capsulotomia artroscopica sempre in associazione alla fisioterapia e all’auto-trattamento.

Cerchi una soluzione definitiva per la tua Capsulite Adesiva?